Lo scorso venerdì 21 marzo, in occasione della Giornata Mondiale contro il Razzismo, nella Sala Comunale di Monterotondo, gli studenti e le studentesse del liceo classico romano “Pilo Albertelli” hanno preso parte ad un momento di vera (in)formazione sulla realtà dei processi migratori, in cui hanno avuto la possibilità di conoscere le donne beneficiarie del Progetto SPRAR AIDA, promosso dall’ARCI di Roma.

Molto spesso si spara a zero sui giovani, tacciati di essere svogliati, senza passioni che non vadano oltre il puro materialismo, privi di progettualità. Pur non condividendo affatto questo tipo di opinioni generaliste, sinceramente mi aspettavo di trovare dei ragazzi poco interessati a seguire un incontro sul tema dell’immigrazione, dove nello specifico si spiegava loro il funzionamento dei progetti SPRAR. E invece la vivacità e la partecipazione dimostrata da alcuni di loro mi ha realmente stupito.

Lo SPRAR, che legislativamente si caratterizza come un intervento di seconda accoglienza, è stato presentato come una tappa di un processo di migrazione più ampio, in cui l’elemento della “fine” non viene mai esplicitato da parte dei diretti interessati. Il tempo trascorso all’interno dello SPRAR (sei mesi prorogabili) costituisce un periodo in cui la persona “prova” la vita in Italia, in cui cioè il beneficiario ha la possibilità di apprendere la lingua e di intraprendere dei percorsi di formazione finalizzati all’inserimento lavorativo. Ma certamente sei mesi non possono considerarsi esaustivi del percorso di una persona e non tutto è determinato dalle azioni previste dai progetti, che chiaramente si inserisono all’interno di coordinate socio-economiche più ampie. Per cui, di fronte alla crisi economica e alla mancanza di lavoro, il viaggio delle persone prosegue verso paesi in cui è garantito uno stato sociale più efficiente, dove magari aspirano a ricongiungersi con i loro parenti.

I ragazzi vengono infine fatti riflettere su cosa possa voler dire, effettivamente, accogliere l’Altro, lo straniero: accanto al concetto più noto di “integrazione”, che per certi versi presuppone l’assimilazione del diverso alla cultura dominante, viene così presentato quello, meno accettato in Italia, di multiculturalismo, dove l’incontro tra persone diverse che mantengono la propria identità produce una messa in crisi dello stereotipo identitario introiettato e genera una società meticcia che deve necessariamente prendere coscienza della pluralità.

Quest’incontro è proprio ciò che si realizza quando, a mattinata conclusa, gli studenti e le studentesse visitano le beneficiarie dello SPRAR nella casa dove adesso vivono. Qui, tra qualcosa da bere e qualcosa da mangiare, una delle donne racconta la sua storia di emigrazione, e alcuni dei ragazzi sono realmente interessati ad ascoltarla e a sapere come si trova in Italia. Alla fine si salutano con un abbraccio. Allora ci si rende conto che, quando ci si appresta a conoscere qualcun altro, tanta differenza non esiste se non nei chilometri percorsi, a piedi o su un gommone, nella speranza di approdare ad una vita migliore.

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