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DICHIARAZIONE DELL’ASSEMBLEA DEL FORUM SOCIALE DEL MAGHREB A DAKAR

TRADOTTA IN ITALIANO

Forum Social Mondial Dakar 2011

Dichiarazione dell’Assemblea dei movimenti sociali maghrebini

Noi movimenti sociali del Maghreb, riuniti a Dakar in occasione del Forum sociale mondiale 2011, riaffemiamo la scelta strategica di costruire uno spazio maghrebino di lotte e mobilitazioni sociali per costruire un Maghreb dei popoli democratici, aperto sul Machrek e pienamente radicato in Africa.

Le rivolte popolari in Tunisia e Egitto confermano le nostre scelte e le nostre esigenze di democrazia e di giustizia sociale, consolidano le nostre lotte per la democrazia e  contro le scelte neo liberali che aggravano l’ingiustizia sociale, le diseguaglianze, la repressione dei movimenti di rivendicazioni sociali e politiche

Riaffermando il nostro pieno sostegno e la nostra solidarietà all’insieme delle lotte dei popoli del Maghreb e del Machrek che si sollevano contro le dittature e i poteri autoritari per la democrazia, la libertà, la dignità e la giustizia sociale, siamo coscienti delle sfide che pone la costruzione democratico cosi come la difficile gestione della transizione verso la democrazia.

I movimenti sociali seguitano a riaffermare il loro sostegno totale e continuo alla lotta del popolo palestinese contro lo Stato sionista e coloniale e per il loro diritto ad uno Stato indipendente. Denunciano le ingerenze e gli interventi militari dell’imperialismo americano e la doppiezza se non il complice silenzio degli Stati europei e di alcuni stati arabi, in relazione ai crimini dello stato di Israele.

Ricordiamo che il Forum Sociale Maghrebino è uno spazio regolato dalla Carta di Porto Alegre e dalla Carta del Maghreb dei popoli, e dunque:

–                       è uno spazio autonomo e indipendente dagli Stati e dai partiti politici

–                       è uno spazio per dibattere e non per battersi, uno spazio che rispetta i diritti dell’uomo, la diversità delle idee e delle posizioni, e che difende e stimola la libera espressione di tutte le questioni che ostacolano la costruzione di un Maghreb dei Popoli

–                       è uno spazio di convergenza e di articolazione di lotte comuni, di solidarietà e messa in rete dei movimenti sociali per la costruzione del Maghreb

–                       è uno spazio che si propone di superare le divisioni scioviniste e che opera per facilitare l’emergere di una nuova cultura, una nuova identità che si riconosce nella sua diversità e nella sua ricchezza, nuove forme di organizzazione per un altro Maghreb, un Maghreb che i governi attuali non hanno potuto realizzare malgrado le aspirazioni popolari verso l’unità.

–                       È uno spazio di inclusione e non esclusione di tutti i popoli della regione, di tutti i movimenti sociali che si riconoscono nella carta di Porto Alegre e che si ergono, ognuno nel proprio campo, contro il neoliberalismo, per l’uguaglianza e la dignità delle donne, per la democrazia e la giustizia sociale, contro le guerre e il razzismo, contro la repressione e per il rispetto dei diritti universali dell’uomo e per la protezione della natura e del nostro ambiente contro gli inquinatori e i predatori.

L’assemblea dei movimenti sociali del Maghreb si impegna a :

–                       incentivare, rafforzare e ampliare le convergenze delle lotte dei movimenti sociali della regione del Maghreb e del Machrek, sviluppando le articolazioni e le convergenze con i movimenti sociali dell’Africa subsahariana attorno a tematiche che sono state oggetto di dibattito, di campagne e di messa in rete, e particolarmente le azioni e i fori tematici avviati e realizzati nel 2010, anno di mobilitazione verso Dakar.

–                       A coinvolgere nuovi spazi oltre il Marocco, che è stato uno dei pochi paesi della regione a permettere la tenuta dei fori sociali; i cambiamenti in Tunisia e Egitto offrono un’opportunità di ampliamento geografico degli spazi di libertà.

–                       A dare maggiore radicamento alla mobilitazione sociale e alla cultura che si diffondono  all’interno dei fori sociali per un altro mondo.

–                       A approfondire la riflessione, alla luce delle rivoluzioni tunisine e egiziane, per formulare delle alternative per un altro Maghreb, un altro Machrek, un’altra Africa e un altro mondo.

Partendo da ciò, i movimenti sociali del Maghreb decidono, per i due anni che ci separano dal prossimo Forum Sociale Mondiale:

  1. di sostenere attivamente il rilancio della dinamica per la costruzione del Forum Sociale Tunisino
  1. di contribuire alla mobilitazione e alla messa in opera di una commissione internazionale, formata dai movimenti del FSM per andare a incontrare i nostri compagni tunisini come forma di solidarietà e di sostegno al processo democratico in Tunisia e che sarà anche un momento di riflessione sulle lezioni della rivoluzione tunisina e egiziana
  1. di tenere il secondo forum sociale del Maghreb in Tunisia
  1. di organizzare un forum sociale tematico su “Relazioni dei Movimenti sociali e politici e sfide della costruzione democratica in Maghreb e Machrek”
  1. di organizzare un forum internazionale su “Movimenti sociali e Islam politico”
  1. di rafforzare e allargare il processo intrapreso per l’articolazione e costruzione di un forum sociale Maghreb -Machrek appoggiandoci sugli spazi di libertà da consolidare sia in Egitto che io Yemen, in Giordania, in Libano e  in Iraq,  e contribuire alla riuscita della campagna di sostegno al movimento sociale irakeno prevista in ottobre 2011 a Irbil
  1. di proseguire il processo intrapreso dal 1° forum sociale Maghreb organizzando un incontro regionale sulla risoluzione dei conflitti e l’unità maghrebina e consolidare le acquisizioni intorno all’Appello per la pace nel Sahara Occidentale (IPSO), lontano da logiche di Stati e gruppi armati
  1. di aprire un dibattito e lanciare delle campagne per la decolonizzazione delle zone marocchine, Ceuta e Melilla, ancora sotto occupazione spagnola
  1. Di rafforzare la dinamica delle donne nelle loro lotte per la dignità e l’eguaglianza e contro tutte le violenze che sono commesse nei loro confronti, e di sostenere  le articolazioni e le convergenze con la Marcia Mondiale delle donne, nel rispetto della diversità delle posizioni, nella ricerca del consenso sui punti di divergenza, in conformità con i valori universali dei diritti umani e al di là di ogni considerazione ideologia o di parte
  1. Di organizzare, temendo presente l’emergere  di nuovi mezzi di informazione e di comunicazione e del ruolo che giocano, un forum tematico su “Media alternativi e il diritto d’accesso all’informazione”
  1. Di continuare a rafforzare gli avvicinamenti e la solidarietà intersindacale maghrebina
  1. Di consolidare le acquisizioni emerse dall’incontro africano tenutosi a Casablanca sulla cultura come diritto e non solo come elemento di animazione dei Fori Sociali, rinnovando il nostro totale sostegno ai movimenti sociali amazigh che lottano per i diritti linguistici e culturali

D’altra parte, l’Assemblea dei movimenti sociali si pone come obiettivi, nel corso dei prossimi due anni, di lavorare alla messa in rete dei movimenti sociali lanciando alcune campagne:

  1. campagna per l’apertura delle frontiere e il diritto alla libera circolazione dei beni e delle persone nello spazio maghrebino come una tappa per la costruzione del Maghreb
  1. campagna contro la militarizzazione della regione e per il blocco della corsa agli armamenti, e contro ogni velleità d’egemonia nella regione utilizzando gli investimenti in armi, per rilanciare uno sviluppo a sostegno delle fasce diseredate e il consolidamento dei valori della pace e della sicurezza dei cittadini e delle cittadine della regione
  1. campagne sulla lotta contro la corruzione e lo sperpero dei beni pubblici e contro l’impunità
  1. campagne sui diritti dei migranti, sia i migranti maghrebini in Europa, sia i migranti subsahariani nel Maghreb che, nel giro di alcuni anni, è divenuto terra d’accoglienza e non solo luogo di transito, e consolidamento della solidarietà con le organizzazioni del Nord sia sulla migrazione che  su un approccio critico verso gli accordi di libero scambio tra l’Unione Europea e il Maghreb.
  1. Consolidamento delle articolazioni e dell’implicazione dei movimenti sociali maghrebini con i movimenti sociali dell’Africa sub-sahariana per un altro Maghreb, un’altra Africa, un altro mondo e lavoro per un maggiore coinvolgimento del Maghreb all’interno del Consiglio del Forum Sociale  Africano.

L’Assemblea dei movimenti sociali maghrebini è convinta che la crisi sistemica del capitalismo e del neoliberalismo aggrava la crisi alimentare, le differenze sociali, la distruzione dell’ambiente, la repressione, l’ìndebitamento dei paesi, l’intervento a oltranza delle istanze finanziarie internazionali, ma la crisi offre, come  mostra la Tunisia, l’Egitto e le sollevazioni nel Maghreb e in Medio Oriente, alcune opportunità per la convergenza delle lotte per la democrazia, la dignità e la giustizia sociale.

Dakar, 11 febbraio 2011

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Decrescita, transizione e comuni virtuosi. Insieme per il cambiamento

di Andrea Bertaglio. Da Cometa – COMunicazione, ETica e Ambiente n. 4. Rivista trimestrale diretta da Giulietto ChiesaCittà di transizione, Decrescita felice e Comuni virtuosi. Tre realtà con origini diverse, ma da sempre accomunate dal desiderio di muoversi verso un ordine sociale che superi il forsennato consumo di combustibili fossili e di petrolio a basso costo. Tre movimenti che ora hanno deciso di intraprendere un progetto comune, a partire da Passerano Marmorito, piccolo comune in provincia di Asti.Si può cambiare, o meglio, è necessario farlo. Negli ultimi anni anche in Italia sono sorte interessanti forme di reazione all’attuale degenerazione politica, economica, sociale ed ambientale, che hanno iniziato ad avere una diffusione di un certo rilievo. Tre di queste hanno, sin dalla loro nascita, una comunione di intenti che sta prendendo sempre più forma: Città di Transizione, Comuni Virtuosi, Decrescita Felice.”Tre modi diversi di affrontare lo stesso tipo di tematiche, perseguendo lo stesso tipo di obiettivi”, afferma Maurizio Pallante, presidente e fondatore del MDF. Tre realtà aventi origini diverse sì, ma da sempre accomunate dal desiderio di ricreare una società che vada oltre la forsennata produzione di merci ed il loro frenetico consumo, resi possibili in questi ultimi decenni da una grande disponibilità di petrolio a basso costo.L’Associazione dei Comuni Virtuosi si occupa prettamente di buone pratiche amministrative, cercando di mettere in rete, anche attraverso il suo “Premio” annuale, le esperienze di tutte quelle amministrazioni che fanno sforzi per rendere più sostenibili la mobilità, la gestione del territorio e dei rifiuti, gli stili di vita e l’impronta ecologica dei loro cittadini. Il Movimento Città di Transizione coinvolge, nelle città interessate, sia la società civile che le amministrazioni in un progetto unitario di progressiva riduzione della dipendenza dalle fonti fossili. Il Movimento per la Decrescita Felice si pone invece l’obiettivo di delineare un progetto politico e culturale che abbia una valenza non solo locale, ma che orienti le attività di chi agisce nel settore industriale, nell’attività politico-amministrativa e di chi vuol cambiare i propri stili di vita.Le influenze reciproche fra i tre non sono una novità. Cristiano Bottone, uno dei rappresentanti a livello nazionale delle Transition Towns, ricorda che “la prima volta che in Italia si è parlato delle Città di Transizione è stato nel corso di un meeting organizzato dal Movimento per la Decrescita Felice”. Marco Boschini, coordinatore nazionale dell’Associazione dei Comuni Virtuosi, ritiene invece “essenziale, prima ancora che logico, trovare forme di contatto e reciproca contaminazione tra le varie esperienze in campo”. Anche Ellen Bermann, presidente di Transition Italia, sembra soddisfatta di questa “apertura e volontà di permettere la risonanza e la sinergia tra i Movimenti”.Tre movimenti che ora hanno deciso di andare oltre, intraprendendo un progetto comune, e portando la fisiologica attrazione reciproca che queste realtà da sempre esercitano l’una sull’altra ai primi risultati. Recentemente, infatti, alcuni rappresentanti delle tre associazioni hanno incontrato a Passerano Marmorito, piccolo comune in provincia di Asti, l’amministrazione comunale (che ha partecipato nella sua interezza), settori di popolazione, associazioni ambientaliste locali e produttori locali.

L’obiettivo è stato quello di capire se l’amministrazione stessa era disposta ad intraprendere questo discorso, facendolo diventare uno stimolo per tutta la popolazione. Ma perché proprio Passerano? Non solo per la maggiore fattibilità, dovuta al fatto che ci sono solo 460 abitanti, ma anche perché quella del comune monferrino è un’amministrazione che non rientra nella logica dei partiti, che ha rotto con un passato in cui amministrare significava solo sviluppo urbanistico, mettendosi in un’ottica di tutela ambientale. Passerano amministra coinvolgendo la popolazione. Periodicamente tutta la giunta incontra i cittadini (40/50 abitanti per frazione), diventando così espressione della società civile, con la quale vuole lavorare.

Maurizio Pallante ha fatto la proposta, Marco Boschini l’ha sottoscritta ed Ellen Bermann ha presentato la metodologia di lavoro. Ora sta al comune metabolizzare questo discorso. Un discorso complesso, ovviamente, che secondo il sindaco, Silvana Bruna, richiederà un po’ di tempo per la sua completa messa in pratica. Le premesse sono ottime, ma anche un comune così piccolo ha bisogno di tempo per organizzarsi in modo tale da tradurre in realtà proposte che, comunque, comporteranno grandi ed importanti cambiamenti.

L’amministrazione comunale, vicina ad una scelta definitiva riguardante l’inizio di questo progetto, secondo la metodologia “di transizione” non si limiterebbe più ad assemblee con la cittadinanza fatte solo per la gestione dell’esistente (strade, boschi, acque), ma affiancherebbe alla consultazione della popolazione anche un elemento di progettualità. Per capire insieme come aumentare la propria resilienza, ossia come potersi “difendere” dai grandi cambiamenti in corso, assorbendoli senza subire traumi. Magari anche riscoprendo modi e usi di quando l’economia di questo grazioso villaggio piemontese, e di tutti i paesi italiani, non si fondava sull’abbondanza di petrolio a basso prezzo; di quando anche senza di esso si andava avanti, perché c’era un rapporto di conoscenza con le risorse del territorio che permetteva di utilizzare al meglio la capacità di entrare in relazione interpersonale (anche di solidarietà), affrontando così una serie di problemi oggi apparentemente insormontabili.

Una volta avviato questo primo progetto, l’obiettivo è di fare in modo che tutti i comuni che hanno già fatto delle scelte “virtuose” (a partire ovviamente da quelli della rete dei Comuni a 5 stelle), avendo già dimostrato una certa sensibilità, possano portare i loro progetti dalla politica amministrativa alla progettazione del futuro della città e della vita dei cittadini, e diventino un ulteriore supporto di diffusione dell’esperienza della Transizione.

Ma sarà davvero possibile diffondere questo tipo di proposte su larga scala, dopo questa prima esperienza piemontese? Maurizio Pallante è ottimista: La crisi accentuerà questo processo, perché costringerà a rivedere quelli che sono gli attuali stili di vita, sviluppatisi negli ultimi 50 o 60 anni di storia dell’umanità. Siamo immersi in questo tipo di dimensione e convinti che questo sia il modo naturale di vivere, ma storicamente sappiamo che le attuali condizioni sono particolarmente anomale, e molto difficili da riprodurre. Sarà quindi indispensabile scoprire le potenzialità del futuro insite nei modi di vivere di quando non c’era questa abbondanza di fonti fossili a basso costo”.

L’alleanza filosofica e strategica fra i tre Movimenti sta dando i primi risultati. Speriamo che Passerano non rimanga un caso isolato, ma che sia solo il primo tassello di un mosaico di realtà che faranno della svolta epocale che stiamo vivendo il nuovo Rinascimento che, forse in modi diversi, tutti ci auguriamo.

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L’ecovillaggio di Granara: esperimento sostenibile

Sull’ Appennino tosco-emiliano un’officina di esperienze ecologiche, sociali ed economiche

Di Federico Simonelli e Stefano Vergine.

Da Valori, Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità n. 79 Maggio 2010

Valmozzola, nel cuore della Val di Taro, un’area incontamiata dell’appennino tosco-emiliano che gli automobilisti normalmente si limitano a osservare dal finestrino percorrendo il tratto della Cisa da Parma a La Spezia. Qui sorge l’eco-villaggio di Granara (www.granara.org), una manciata di case in sasso  abbarbicate su una collina che degrada dolcemente versovalle, ma, soprattutto, un’esperienza di recupero di un borgo contadino che, dopo la guerra, ha cominciato a essere abbandonato. Chi andava all’estero per lavoro, chi si trasferiva in città.

Fino al 1992, quando un gruppo di donne e uomini, principalmente da Milano e Torino, ha deciso di comprare case e terreni e ha cominciato a ripopolare e ricostruire. Al margine di un campo, apparentemente incolto, un tendone da circo bianco e rosso è la prima immagine che accoglie chi arriva.

Poi, mezzi nascosti dagli alberi, i due nuclei del villaggio, meno di una decina di case in tutto: Granara di sotto e Granara di sopra. Un gruppo di ragazzi e ragazze, tutti sui vent’anni, è indaffarato attorno ad un telone steso su una radura. Partecipano a un ampo di lavoro: stanno cuocendo al sole i mattoni isolanti in paglia e sabbia che serviranno a fabbricare il muro esterno di una casetta, realizzata totalmente con materiali naturali o di recupero.

A coordinarli ed aiutarli ragazzi più grandi: c’è Roberto che si adopera intorno all’impastatrice e Dario, ingegnere elettronico, che insieme a Tibor sta interrando i cavi per la banda larga. Sono solo alcuni di coloro i quali, da quasi vent’anni, portano avanti il progetto Granara, nato un pò come un’utopia e trasformatosi in un’officina di esperienze ecologiche, sociali ed economiche.

Nel villaggio vivono in pianta stabile tre famiglie, ma le persone che gravitanno attorno al progetto sono una cinquantina: insegnanti, professionisti, bancari, artigiani, piccoli imprenditori, operatori sociali. Molti sono legati dall’esperienza della cooperativa sociale Alekos di Milano. E poi ci sono i bambini che scorazzano per i campi e fra le case. “Per quelli che abitano qui – spiega Dario – c’è lo scuolabus che viene ogni mattina”.

Il villaggio è stato recuperato secondo i criteri della bioedilizia, del risparmio energetico e dell’autocostruzione: ad alimentare le case ci sono i panelli fotovoltaici, un collettore solare costruito insieme ad alcuni studenti del politecnico di Milano riscalda l’acqua e un impianto di lagunaggio depura naturalmente qualla di scarico.

Per il riscaldamento delle stanze vengono usati sistemi  misti solare-legna e si sfruttano i muri di pietra coibentati con materiali naturali. “Non è una fuga – spiegano – ma, piuttosto, una riconquista di luoghi e competenze appropriate”. Una voglia di socialità testimoniata dai molti gruppi di lavoro, alcuni dei quali organizzano ogni estate un festival teatrale (ecco spiegato il tendone da circo).

Per info: La Rive -Rete italiana villaggi ecologici

www. mappaecovillaggi.it

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La Conferenza di Cochabamba in difesa dei Diritti della Madre Terra

di Laura Pavesi. Da Cometa – COMunicazione, ETica e Ambiente.  Rivista trimestrale diretta da Giulietto Chiesa

www.cometa-online.it

“Oggi, la Madre Terra è ferita e il futuro dell’umanità è in pericolo” (“Hoy, nuestra Madre Tierra está herida y el futuro de la humanidad está en peligro”): con queste parole si è aperta la dichiarazione finale della Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra che si è svolta a Cochabamba e a Tiquipaya, in Bolivia, dal 19 al 22 aprile 2010.

Fortemente voluta dal presidente boliviano Evo Morales Ayma quale risposta dei paesi in via sviluppo alla Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico tenutasi a Copenhagen nel dicembre 2009, la conferenza ha visto la presenza di popoli indigeni e originari provenienti da tutto il mondo, scienziati ed esperti, governi e istituzioni, attivisti e di tutti coloro che sono impegnati nella difesa del nostro pianeta – tra gli altri anche Adolfo Pérez Esquivel, Vandana Shiva, Miguel D’Escoto, Naomi Klein e François Houtard.

Il convegno internazionale boliviano, al quale hanno partecipato più di 200.000 persone, ha dichiarato “illegittimo” il documento conclusivo della Conferenza di Copenhagen (il cosiddetto Copenhagen Accord), perché permette ai paesi industrializzati – cioè a coloro che continuano ad inquinare il pianeta – di contrattare la riduzione di emissioni nocive ricorrendo ad impegni volontari e non vincolanti.

La Conferenza di Cochabamba, in maniera condivisa, ha ritenuto inaccettabile il principio che un gruppo ristretto di paesi prenda decisioni su temi come il clima e l’ambiente, che interessano tutti i popoli della terra. I partecipanti hanno risposto al summit di Copenhagen con la stesura dell’Accordo dei Popoli (Acuerdo del los Pueblos ), il documento finale che contiene tutte le proposte condivise emerse dai 17 gruppi di lavoro, e con la redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra.

L’Accordo dei Popoli parte dal presupposto che, per poter affrontare il problema del cambiamento climatico, è necessario “riconoscere la Madre Terra come fonte di vita e creare un nuovo sistema basato sui principi di : armonia ed equilibro di tutti con il tutto; complementarietà, solidarietà ed equità; benessere collettivo e soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutti, in armonia con la Madre Terra; rispetto dei Diritti della Madre Terra e dei Diritti Umani; riconoscimento dell’essere umano per ciò che è e non per ciò che ha; abolizione di ogni forma di colonialismo, imperialismo ed interventismo; pace tra i popoli e con la Madre Terra”.

Tra le istanze contenute nell’Accordo dei Popoli, che i paesi in via di sviluppo indirizzano all’ONU e ai paesi industrializzati, spiccano :

– il riconoscimento del debito climatico dei paesi ricchi verso i paesi più poveri e il riconoscimento di tale debito climatico come parte di un debito più grande che essi hanno contratto con la Madre Terra;

– l’assunzione di responsabilità, da parte dei paesi industrializzati, delle centinaia di milioni di esseri umani che sono e saranno costretti a migrare a causa del cambiamento climatico;

– il ripensamento dell’agricoltura come produzione sostenibile ed ecologica, secondo i modelli contadini e indigeno-originari, e la tutela della sovranità alimentare, intesa come diritto dei popoli al controllo delle proprie sementi, terre, acque e produzioni alimentari in armonia con la Madre Terra;

– la creazione di un tribunale internazionale per la giustizia climatica e ambientale, al quale partecipino tutti i paesi membri dell’ONU, nessuno escluso;

– la promozione di un referendum mondiale (o plebiscito o consulta popolare) sul cambiamento climatico, nel quale tutti i popoli della terra vengano ascoltati e presi in considerazione, affinché le soluzioni al problema siano condivise.

Oggi L’Accordo dei Popoli è stato consegnato alle Nazioni Unite e, nelle prossime settimane, verrà trasmesso anche al governo spagnolo, in quanto presidente di turno dell’Unione Europea. Evo Morales Ayma, accompagnato da una delegazione formata da esperti dei cinque continenti che hanno partecipato alla Conferenza di Cochabamba, ha consegnato a Ban Ki-Moon anche la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra, chiedendone l’applicazione in tutti i trattati internazionali. In essa si richiamano, tra gli altri, i seguenti diritti inviolabili della terra:

– il diritto di vivere e di esistere;

– il diritto di essere rispettata;

– il diritto di rigenerasi secondo la propria bio-capacità e di continuare a farlo secondo i propri cicli e processi vitali, libera da manipolazioni umane;

– il diritto di mantenere la propria identità ed integrità, costituita da esseri viventi tra loro differenziati, auto-regolamentati e inter-dipendenti tra loro;

– il diritto all’acqua in quanto fonte di vita;

– il diritto all’aria pulita;

– il diritto alla salute globale;

– il diritto di essere libera da avvelenamento e inquinamento, da rifiuti tossici e radioattivi.

– il diritto di non essere modificata geneticamente né alterata nella propria struttura, di non subire minacce alla propria integrità o al proprio funzionamento vitale e alla propria salute;

– il diritto ad un risarcimento totale ed immediato dei danni causati dalle attività umane in violazione dei diritti contenuti nella presente Dichiarazione.

Il summit boliviano ha ribadito, inoltre, che la priorità assoluta della prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC-COP16), che si svolgerà a Cancún dal 29 novembre al 10 dicembre 2010, dovrà essere la rettifica del protocollo di Kyoto per il periodo 2013-2017, che obbliga i paesi sviluppati a ridurre le emissioni inquinanti di almeno il 50% rispetto ai livelli dell’anno-base 1990.

A conclusione dei lavori, Evo Morales Ayma ha anche dichiarato: “Siamo di fronte ad una battaglia epocale: dobbiamo persuadere i governi dei paesi industrializzati che devono farsi carico della problematica del clima. Se non saremo ascoltati, in ultima istanza, dovremo organizzarci su scala mondiale, per ottenere che le decisioni dei governi e dei popoli di tutto il mondo, nessuno escluso, siano ascoltate e rispettate”.

Per questo motivo, tutte le realtà presenti a Cochabamba si sono date appuntamento in Messico a fine anno, per monitorare da vicino i lavori del COP16 e per riaffermare le istanze contenute nell’Accordo dei Popoli, consapevoli che si tratterà di un passaggio cruciale nel cammino verso la giustizia climatica.

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Il cinema è nomade Nomadica è il suo festival

Debutta ad Aprile un cinefestival dal formato innovativo: itinerante, autogestito, modulare. Una manifestazione che fa conoscere in quaranta città italiane piccole produzioni indipendenti.

Di Paola Baiocchi. Da Valori, Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

n. 78 Aprile 2010

Scrivere un messaggio, metterlo in una bottiglia e affidarlo al mare è l’ultima speranza dei naufraghi, dei romantici e dei sognatori. Qualcosa del genere è successo pochi mesi fa, a partire da un’idea della siciliana casa di produzione Malastrada film, il messaggio in bottiglia si è adto l’aspetto più mpoderno della mail e ha cominciato la sua navigazione su internet.

Il testo recitava così :” Cari amici e amiche, in questo periodo di vuoti e di monopoli illegali che riguardano l’economia quanto la cultura di noi tutti, abbiamo avvertito la necessità di lanciare un  nuovo progetto dal basso, per sostenere opere cinematografiche valide che non rientrano nei canali classici a causa dei soliti motivi”.

La mail continuava poi con l’invito, rivolto a tutti coloro che sono vicini o attivi in luoghi dove sia possibile organizzare proiezioni e incontri, a mettersi in contatto con Nomadica, Festival del Cinema e delle Arti.

Povero e nomade, fatto dalla gente e non dai capitali

L’idea di un festival del cinema “povero e nomade”  è piaciuta e le risposte sono arrivate. Anzi, sono state così numerose da aver perfino travoltoi giovani che hanno lanciato questo progetto.

I luoghi delel proiezioni si sono moltiplicati (quaranta da aprile a settembre nel momento in cui scriviamo), dando la fotografia di un’ Italia affamata di cultura e disponibile a vedere film in circuiti non tradizionali.

Le proiezioni sis volgeranno nelle sedi di associazioni, in biblioteche, perfino in un castello e le richieste arrivano da circoli di partito, da centri sociali- uni anche a Scampia – da spazi autogestiti in tutto lo stivale.

Abbiamo chiesto spiegazioni a Giuseppe Spina, uno degli ideatori di Nomadica: “Ogni anno chiudono decine di sale cinematografiche e i circuiti dove proiettare film che non siano le grandi produzioni americaen si riducono sempre più- anche in molti circoli Arci ( che pure hanno una convenzione con la Siai che rende facile le proiezioni) si è abdicata quell’offerta culturale che una volta era patrimonio dei cineforum, e si è passati a proiettare solo partite. Nomadica va a colmare questo vuoto.

Una distribuziuone dal basso

La formula del festival è semplice, non servono sponsorizzazioni o Plazzi del Cinema: la parte più difficile è superare l’imbarazzo nella scelta dallos confinato catalogo di Nomadica che contiene film autoriali, d’animazione o documentari, che rischiano di far fare l’indigestione ai cinefili più ghiotti. Poi bisogna comuniacre la selezione agli organizzatori, che provvederanno alla spedizione a fronte di una cifra molto contenuta.

A metà degli anni ’70, dicono i dati dell’Anec, l’Associazione nazioanle esercenti cinema, si contavano in Italia più di diecimila sale. Ora sono meno di  duemila e a soffrire di più per questa scomparsa sono sopratutto le città di privincia, dove i filmsi fermano poco e sono quasi “estinti” i cinema d’essai. Per chi ha gusti meno commerciali l’unica soluzione resta il noleggio.

“Ma la visione collettiva di un film è un’altra cosa e – dice ancora Giuseppe Spina – organizzare un cineforum sta assumendo una valenza rivoluzionaria”.

Anche la distribuzione fatta “dal basso” proposta da Nomadica ha una valenza importante: basta dare un’occhiata a quanti film, anche pluripremiati, negli ultimi anni hanno faticato a trovare un distributorr oppure non sono mai arrivati nelle sale. E che anche la Rai, magari dopoa verli prodotti, non ha mia trasmesso.

Per info: www. nomadica.eu

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La sentenza Mills passa inosservata

 Di Rachel Donadio, The New York Times, Stati Uniti. Da Internazionale n.783 del 20/26 Febbraio 2009

Il 17 Febbraio un tribunale di Milano ha emesso una sentenza che in molti paesi farebbe crollare l’establishment politico. L’avvocato britannico David Mills è stato giudicato colpevole di aver accettato 600mila dollari per mentire e proteggere il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi. In Italia la sentenza non ha fatto neanche i titoli d’apertura del Tg della sera. L’onore è andato alle dimissioni del principale avversario politico di Berlusconi, Walter Veltroni, dopo la sconfitta del Partito Democratico alle elezioni regionali in Sardegna.

Mills ha annunciato che ricorrerà in appello: “Sono innocente, ma questo è un caso dalla forte valenza politica” In effetti anche Berlusconi è stato suo computato, fino a quando ha fatto approvare una legge (il Lodo Alfano) che concede l’immunità alle quattro più alte cariche dello stato.

Nella logica capovolta della politica italiana, la sentenza non è sembrata una sconfitta per David Mills, ma l’ennesima vittoria per Berlusconi, che negli ultimi quindici anni è riuscito a trasformare ogni suo problema giudiziario in un vantaggio politico. Più volte accusato di corruzione, il premier se l’è sempre cavata in appello o grazie alla prescrizione. E più riesce a sfruttare il sistema a suo beneficio, più sembra riscuotere l’ammirazione degli italiani.

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Facebook non mi Piace

Tom Hodgkinson. The Guardian, Gran Bretagna. Da Internazionale 733, 29 Febbraio 2008


FACEBOOK NON MI PIACE. IL SUOSlogan è: “Un servizio sociale per rimanere in contatto con le per-sone intorno a tè”. Ma un attimo. Perché mai dovrebbe servirmi un computer per conoscere delle perso ne? Perché le mie relazioni sociali dovrebbero passare attraverso le invenzioni di un gruppo di nerd californiani? Cosa c’è che non va nei pub? E poi è proprio vero che Facebook mette in contatto la gente? Non è che in realtà ci scollega gli uni dagli altri? Che invece di fare cose divertenti come parlare, mangiare, ballare e bere con gli amici, pensiamo solo a mandarci messaggi sgrammaticati e foto buffe? Un mio amico ha passato un sabato sera in casa da solo: è stato tutto il tempo su Facebook. Che tristezza. Altro che metterci in contatto: Facebook ci isola. Inoltre fa leva su una specie di vanità e di autocompiacimento.Continua a Leggere…

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Morire per la Coca-Cola

killer cola

Minacce, aggressioni, agguati. In Colombia gli operai iscritti al sindacato rischiano la vita ogni giorno. Qual è la responsabilità dell’azienda? L’inchiesta di Mark Thomas.

Di Mark Thomas. Da Internazionale N. 766 del 17/23 Ottobre 2008

Bogotà può vantarsi di essere una città moderna, con un centro finanziario e perfino dei grattacieli. Ma il mondo del commercio internazionale sembra molto lontano quando si passa accanto ai venditori di sigarette sfuse e ai piccoli negozi con la merce che arriva fino al marciapiede. Lasciando la confusione mattutina delle vie laterali, in pochi minuti si raggiunge Teusaquillo, dove le strade sono più larghe e ci sono meno biche. Un tempo i ricchi vivevano qui, ma se ne sono andati da un pezzo. Al loro posto sono arrivati avvocati che difendono i diritti umani, associazioni e ong.

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La marcia da Roma

Furio Colombo – L’Unità – 4 Maggio ’08  

Chi avesse ascoltato Radio radicale la notte del 27 Aprile (tra il primo e il secondo giorno di ballottaggio) avrebbe potuto accumulare qualche dato utile per rispondere alla domanda sulla trionfale ascesa di Gianni Alemanno in Campidoglio.

Dunque, Radio radicale. Era in onda Marco Pannella, che invitava a chiamare il numero della radio per parlare di politica, una iniziativa civile che un po’ chiarisce e un po’ svelenisce. Ha chiamato Antoniozzi, lo ricordate? Era l’avversario di Zingaretti per la Presidenza della Provincia. Antoniozzi è una persona mite e confida a Pannella tutti i numeri sull’ondata di criminalità che – dicono loro – si è abbattuta su Roma, e chiede misure urgenti.

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 A cento passi da Corleone

La Coop “Lavoro e non solo” lavora in luoghi in cui ancora si vive in trincea. Ma dove qualcosa sta cambiando.

Di Andrea Barolini da “Valori” N° 55 Dicembre 2007.

 Lvoro e non soloEntrando a Corleone si respira un’aria diversa. Rispetto agli anni ottanta e alla stagione delle stragi, la nuova strategia della mafia è palpabile. Oggi, quella sorta di pacificazione sociale di facciata voluta dal Boss dei Boss Bernardo Provengano dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino è il maquillage di questo paese. Un trucco. Eppure quella stessa strategia ha costretto Cosa Nostra ad allentare la morsa. Almeno un po’. Liberando spazi (fisicamente, ma soprattutto simbolicamente) che la parte sana della comunità di abitanti ha potuto finalmente occupare. E’ il caso della Cooperativa Sociale “Lavoro e non solo”, che dal 2000 gestisce (anche grazie al credito offerto da Banca Etica) un’azienda agricola sui terreni confiscati alla mafia nei comuni di Corleone e Monreale. Dodici ragazzi. Tra cui un agronomo, un commercialista, operai, operatori sociali. I terreni sono stati affidati loro dal consorzio Sviluppo e Legalità, il primo nato in Sicilia, costituito da otto comuni tra i più colpiti dalla mafia. Cento ettari di terra ripristinata alla legalità dai quali solo nel 2006 sono stati ricavati 450 quintali di grano, uva, vino, ceci, lenticchie e pomodori. E, soprattutto, che hanno significato un lavoro, un reddito e una nuova speranza.

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• Come Siamo Buoni

Binyavanga WainainaDi Binyavanga Wainaina. Da Internazionale n. 15 (14/20 Dicembre 2007)

“Secondo una statistica di una decina di anni fa, il quoziente d’intelligenza medio degli americani bianchi era 103. Quello degli americani di origine asiatica era 106. Quello degli ebrei americani era 113. Quello dei Latinoamericani era 89. Quello degli afroamericani era 85. Gli studi condotti in tutto il mondo arrivano più o meno alla stessa conclusione: 100 per i bianchi, 106 per gli asiatici, 70 per i subsahariani”. Dall’articolo di William Saletan Created equal, pubblicato dalla rivista on line Slate.

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• Nuovi e vecchi cattivi. La lista deve essere aggiornata.

Di Elisabetta Tramonto Da “Valori” N°53 Ottobre 2007

AAA cercasi un po’ di senso critico per stilare un nuovo elenco dei buoni e dei cattivi nel mondo dell’industria e della finanza.

Mc Donald’s, Nike, Adidas, Nestlè, Coca Cola. La top ten delle multinazionali da boicottare è sempre la stessa da almeno dieci anni. I siti internet di organizzazioni contestatrici riportano spesso informazioni vecchie, dati imprecisi e non aggiornati per motivare le ,campagne no logo. E se nel frattempo fosse cambiato qualcosa? Andando a cerare informazioni più recenti potremmo scoprire, magari, che quelli che abbiamo sempre considerato i grandi cattivi dell’economia globalizzata, hanno fatto qualcosa di buono.

lavoro minorile

Oppure potremmo trovare ulteriori conferme, aggiungendo alla nostra lista nuovi e ancor più gravi danni provocati dai giganti della marca. O magari potremmo accorgerci che oggi c’è anche chi si comporta peggio di Nike, o Coca Cola. Aziende che non sono nel mirino delle campagne di protesta o che, peggio ancora, sono sempre state considerate impeccabili e possono, quindi, agire indisturbate. E’ il caso di Volkswagen da sempre vista come un modello di responsabilità sociale d’impresa, per le ottime relazioni con le parti sociali, le condizioni di lavoro invidiabili, l’impegno a tutela dell’ambiente. Peccato che siano saltate fuori tangenti pagate a sindacalisti per comprare il loro consenso e diversi casi di corruzione tra i manager dell’azienda. O la casa di moda Armani certificata SA8000, denunciata dalla campagna Abiti Puliti per le condizioni di lavoro disumane in alcune fabbriche in India.

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