• Giornata Mondiale del Rifugiato

 In occasione dello scorso 20 giugno, giornata internazionale del rifugiato, l’Arci di Roma, come fa ormai da due anni, ha partecipato alla campagna nazionale dell’Arci “apri un ombrello, offri un rifugio” all’interno dell’evento dell’estate romana “Roma incontra il Mondo”. Si è fatta una installazione degli ombrelli e dal palco l’artista Peppe Barra ha ricordato l’importanza della giornata sottolineando come occorra fare informazione in merito al tema dei migranti e dei rifugiati in particolare.

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• Confessioni di un rifugiato 

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In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato Arci Roma e Fuori le Mura hanno deciso di raccontare le storie di alcuni rifugiati.

Abbiamo voluto fuggire il pietismo d’accatto del “poverini”: così abbiamo lasciato parlare soprattutto loro, nel tentativo di sottolineare quanto sono importanti alcune conquiste, come la Convenzione di Ginevra, quanto c’è di sbagliato nelle attuali legislazioni – soprattutto nell’applicazione concreta delle leggi vigenti – e quanto ancora ci sarebbe da fare.

Quel “confessioni” incastonato tra virgolette non va inteso nel senso di un’ammissione di colpa, ma nel suo significato più profondo: testimonianza di un vissuto. Perché i lettori possano cercare di comprendere cosa c’è dietro una richiesta d’asilo prima ancora di formulare un giudizio.

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• Approfondimento sulla Giornata Mondiale del Rifugiato

L’internazionalizzazione di questa celebrazione fu voluta come segno di solidarietà con il continente Africano che, ospitando il numero maggiore di rifugiati,  già festeggiava tale ricorrenza. Proprio l’Africa mostrava estrema generosità rispetto alla tematica e nel 2001 l’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA), accettò che la giornata mondiale coincidesse con quella africana. Così tale ricorrenza,  fissata nella giornata del 20 giugno,  diviene ‘mondiale’ con la Risoluzione n. 55/76 adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 4 Dicembre 2000 in vista del cinquantennale (2001) della Convenzione di Ginevra, che tratta lo status di rifugiato.

La Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 è il primo accordo internazionale che impegna gli stati firmatari a concedere protezione a chi fugge dalle persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per opinione politica. Stabilisce altresì le condizioni per essere considerato un rifugiato, le forme di protezione legale, altri tipi di assistenza, i dritti sociali e gli obblighi che il rifugiato dovrebbe avere.

Tale Convenzione ricorda sin dalla sua premessa l’importanza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948, che afferma il principio che “gli uomini, senza distinzioni, devono godere dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” e da questa premessa fonda la sua stessa ragion d’essere.

E’ stata resa  esecutiva in Italia con la legge del 24 luglio 1954 n. 722, che definisce “rifugiato” colui “che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra” (Articolo 1 A della Convenzione di Ginevra).

 

L’ambito di applicazione della Convenzione è limitato ai casi di persecuzione individuale. Sono esclusi dall’applicazione ella Convenzione le persone costrette a lasciare il proprio Pese a causa di disastri naturali, di calamità, di violenti rivolgimenti politici o di crisi belliche possono essere escluse dall’applicazione della Convenzione. In tali casi sono adottate misure di protezione straordinarie come per esempio la “protezione temporanea“, come è accaduto quando sono stati accolti nel nostro Paese i cittadini della ex Jugoslavia, della Somalia o dell’Albania o come è avvenuto nel corso dell’ultimo anno  per i migranti provenienti dal nord Africa.
A integrazione della Convenzione è intervenuto il Protocollo di New York nel 1967 che ha rimosso le limitazioni temporali e geografiche fissate nel testo originario della Convenzione.

Vengono definiti “richiedenti asilo” coloro che, trovandosi fuori dal proprio Paese, non possono o non vogliono tornarvi per il timore di essere perseguitati  e presentano una domanda nel nostro Paese di riconoscimento dello “status di rifugiato“, che otterranno in seguito all’accoglimento della domanda, che dovrà essere motivata e il più possibile documentata sia per quanto concerne le persecuzioni subite o quelle che si potrebbero subire rientrando nel proprio Paese d’origine.

Ciò è abbastanza arbitrario poiché il termine ‘persecuzione’ non viene definito nella Convenzione di Ginevra. In merito il manuale dell’UNHCR del 1992 sottolinea che “dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 si può dedurre che costituisce persecuzione ogni minaccia alla vita o alla libertà”

Esempi di comportamenti persecutori possono essere: atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e\o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata e discriminatoria; azioni giudiziarie o sanzioni penali come conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini o reati; atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia.

Hanno diritto alla “protezione sussidiaria“, in base al decreto legislativo n. 251 del 2007, coloro che pur non possedendo i requisiti per ottenere lo status di rifugiato non possono essere rinviati nel Paese d’origine o, per l’apolide, nel paese di residenza, in quanto sussiste il fondato timore che il richiedente possa subire un grave danno alla sua vita o alla sua incolumità.

Il primo organismo in Italia che si è occupato della procedura di eleggibilità e del riconoscimento dello “status di rifugiato” è stata la Commissione paritetica di eleggibilità (Cpe).
Questo organismo è stato istituito, con uno scambio di note tra il Governo italiano e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, il 22 luglio 1952 e ufficialmente sancito con un decreto interministeriale del 24 novembre 1953. In seguito è stato modificato dapprima dalla Legge Martelli (Dl. 416/89) e poi dalla Bossi – Fini (L. 189/2002), fino ad arrivare a trasformarla in “Commissione nazionale per il diritto di asilo” , che a sua volta viene decentrata nelle Commissioni Territoriali, oggi denominate “Commissioni Territoriali  per il riconoscimento di Protezione Internazionale”.

La Commissione nazionale per il diritto di asilo è un organo di indirizzo e coordinamento delle Commissioni territoriali, con funzioni anche di monitoraggio e documentazione sul tema, ha il compito di fissare criteri organizzativi e di garantire uniformità di orientamento, ha poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status concessi (articolo 32 legge n. 189/02).

Quando si parla di rifugiati e richiedenti asilo, si deve tener presente anche la  Convenzione  di Dublino, firmata a Dublino il 15 giugno 1990 ed entrata in vigore il 1° settembre dello stesso anno per i primi dodici Paesi firmatari: Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito. Nel 1997 hanno ratificato la Convenzione anche Austria e Svezia, nel 1998 la Finlandia,  e nel 2008 la Svizzera, che in seguito a un referendum ha sottoscritto e ratificato la suddetta Convenzione. Recentemente il sistema è stato esteso anche ad alcuni Paesi al di fuori dell’Unione Europea.

A tale Convenzione segue il regolamento di Dublino II, regolamento 2003/343/CE, un regolamento europeo che determina lo Stato membro dell’Unione europea competente ad esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato in base all’art.51 della Convenzione di Ginevra (art.51). Esso è stato adottato nel 2003, di fatto in sostituzione alla Convenzione di Dublino, e mira a “determinare con rapidità lo Stato membro competente [per una domanda di asilo]” e prevede il trasferimento di un richiedente asilo in tale Stato membro. Di solito, lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo sarà lo Stato in cui il richiedente asilo ha messo piede per la prima volta nell’Unione Europea.

Tra gli obiettivi del Regolamento di Dublino II  c’è sicuramente la volontà di  impedire ai richiedenti asilo di presentare domande in più Stati membri  e  di ridurre il numero di richiedenti asilo “in orbita” , che sono trasportati da Stato membro a Stato membro. Tuttavia, poiché il primo paese di arrivo è incaricato di trattare la domanda, questo mette una pressione eccessiva sui settori di confine, dove gli Stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno e protezione ai richiedenti asilo. Attualmente, coloro che vengono trasferiti in virtù di Dublino non sempre sono in grado di accedere a una procedura di asilo: questo mette a rischio le garanzie dei richiedenti asilo di ricevere un trattamento equo e di vedere le proprie richieste d’asilo prese in adeguata considerazione

In questo senso il  regolamento stabilisce alcuni  paletti rispetto al principio dell’unità del nucleo familiare: se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, è competente per l’esame della domanda di asilo lo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare, purché ciò sia nel migliore interesse del minore. La regola generale, infatti, è sempre quella di preservare l’interesse maggiore del minore. In mancanza di un familiare, è competente lo Stato membro in cui il minore ha presentato la domanda d’asilo.  Il regolamento regola anche  le domande d’asilo presentate simultaneamente o in date ravvicinate da diversi familiari per un esame congiunto.

Lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente asilo un permesso di soggiorno o un visto valido è competente per l’esame della domanda d’asilo. Se il richiedente è titolare di più permessi o visti, è considerato competente, ai fini dell’esame, lo Stato che  ha rilasciato il documento di soggiorno che conferisce il diritto di soggiorno più lungo o, se la validità temporale è identica, lo Stato che ha rilasciato il documento di soggiorno la cui scadenza è più lontana, quando i visti sono di analoga natura (la stessa regola si applica nel caso di più visti di natura diversa). La stessa regola vale quando il richiedente asilo è titolare di uno o più titoli di soggiorno scaduti da meno di due anni o di uno o più visti scaduti da meno di sei mesi e non abbia lasciato i territori degli Stati membri. In questi casi, è competente lo Stato membro in cui è stata presentata la domanda.

Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest’ultimo è competente per l’esame della sua domanda di asilo. Questa responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera.

Quando è accertato che il richiedente asilo ha soggiornato per un periodo continuato di almeno 5 mesi in uno Stato membro prima di presentare la domanda d’asilo, detto Stato membro è competente per l’esame della domanda d’asilo. Se il richiedente asilo ha soggiornato per un periodo di almeno 5 mesi in vari Stati membri, lo Stato membro in cui ciò si è verificato per l’ultima volta è competente per l’esame della domanda d’asilo.

Se un cittadino di un paese terzo richiede asilo in uno Stato membro in cui non è sottoposto all’obbligo di visto, l’esame della domanda d’asilo compete a tale Stato membro.

Quando la domanda d’asilo è presentata in una zona internazionale di transito di un aeroporto di uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo, detto Stato membro è competente per l’esame della domanda.

Infine, il regolamento prevede anche un “criterio generale” applicabile quando nessuno Stato membro può essere designato competente per l’esame della domanda d’asilo sulla base dei criteri enumerati. In tali casi, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

C’è una clausola umanitaria consistente nel fatto che qualsiasi Stato membro può, pur non essendo competente in applicazione dei criteri vincolanti definiti dal presente regolamento, accettare di esaminare una domanda d’asilo per ragioni umanitarie, fondate in parte su motivi familiari o culturali (a condizione che le persone interessate vi acconsentano).

Se uno Stato membro ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame di una domanda d’asilo, esso può interpellare tale Stato membro affinché prenda a carico la domanda. Lo Stato membro competente per la domanda d’asilo è tenuto ad assolvere alcuni obblighi, in particolare l’obbligo di prendere o riprendere a carico il richiedente e di portare a termine l’esame della sua domanda. La domanda di presa o ripresa a carico dovrà indicare ogni elemento che permette allo Stato richiesto di determinare se è effettivamente competente. Quando lo Stato richiesto accetta di prendere a carico o riprendere a carico il richiedente asilo, lo Stato nel quale la domanda d’asilo è stata presentata notifica al richiedente asilo una decisione motivata relativa all’inammissibilità della sua domanda in tale Stato membro indicando l’obbligo di trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente; contro tale decisione può essere esperito un ricorso che non ha effetto sospensivo, a meno che il giudice o l’organo giurisdizionale competente non decida altrimenti caso per caso, se la legislazione nazionale lo consente. Il presente regolamento stabilisce una serie di modalità pratiche relative alla presa o alla ripresa in carico del richiedente (scadenze per la presentazione e l’evasione delle richieste e per l’esecuzione dei trasferimenti, verifiche necessarie, notifiche delle decisioni, ecc.). Qualora uno Stato membro non rispetti i rigidi termini stabiliti dal regolamento, si ritiene che abbia implicitamente accettato la propria competenza nei confronti della persona interessata.

Laddove sia necessario per finalità specifiche, quali la determinazione dello Stato membro competente o l’esame di una domanda d’asilo, gli Stati membri posso scambiarsi i dati di carattere personale riguardanti i richiedenti asilo, nel rispetto di rigorose regole di protezione dei dati. Le ragioni addotte dal richiedente a giustificazione della domanda d’asilo sono scambiate soltanto se strettamente necessario e solo se l’interessato vi acconsente. Le richieste di informazione devono essere motivate. Lo Stato membro che trasmette i dati ne deve garantire l’esattezza e l’aggiornamento. Il richiedente ha diritto di conoscere i dati trattati che lo riguardano e di ottenerne la rettifica, la cancellazione o il congelamento in caso di violazione del presente regolamento o della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla protezione delle persone per quanto riguarda il trattamento dei dati personali e la libera circolazione degli stessi. Tutte le richieste, risposte e comunicazioni scritte in applicazione del presente regolamento saranno inviate tramite la rete di comunicazione elettronica “DublinNet”.

Secondo il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e l’UNHCR, il sistema attuale non riesce a fornire una protezione  efficiente. È stato dimostrato in diverse occasioni, anche dalla stessa UNHCR, che il regolamento impedisce i diritti legali e il benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un equo esame della domanda d’asilo e, ove riconosciuto, ad una protezione effettiva. Esso conduce inoltre ad una distribuzione ineguale delle richieste d’asilo tra gli Stati membri, dal momento che – per esempio – un paese come l’Italia avrà sempre un alto tasso di “dublinati”, essendo spesso una meta di passaggio per chi proviene dal continente africano, e non solo.

Per questo le suddette associazioni denunciano che l’applicazione del regolamento può seriamente ritardare la presentazione delle domande e può risultare in richieste d’asilo che non vengono mai prese in considerazione. Tra le varie critiche risalta anche l’uso della detenzione per il trasferimento dei richiedenti asilo da parte dello Stato in cui fanno domanda allo stato ritenuto competente, la separazione delle famiglie e la negazione di una effettiva possibilità di ricorso contro i trasferimenti. Il sistema di Dublino aumenta inoltre la pressione sulle regioni di confine esterno dell’UE, dove la maggioranza dei richiedenti asilo entrano nell’UE e in cui gli stati sono spesso meno in grado di offrire sostegno per l’asilo e la protezione dei richiedenti

Dopo che diverse organizzazioni non governative, tra cui UNHCR,  hanno apertamente criticato il sistema di asilo in Grecia, tra cui la mancanza di protezione e cura per i minori non accompagnati, molti paesi hanno sospeso i trasferimenti di richiedenti asilo in Grecia nel quadro del regolamento Dublino II. Il regolamento è stato criticato anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa in quanto non in grado di garantire i diritti dei rifugiati.

Un altro fenomeno da tenere presente quando si parla di rifugiati e dei richiedenti asilo è quello dei respingimenti, per cui – come è noto – l’Italia è stata recentemente condannata dalla Corte Europea dei diritti umani con Sentenza 23 febbraio 2012 n. 27765/2009.

 La sentenza riguarda un caso del 2009 e si evince che, nel respingere i migranti eritrei e somali provenienti dalla Libia, l’Italia è venuta meno all’art. 3 della Convenzione dei diritti umani (CEDU) inerente i trattamenti degradanti e la tortura. Si ricorda, in merito, che in Italia non vi è una legislazione specifica sul reato di tortura. Con la sentenza la Corte Europea dei diritti umani ha posto un limite ai respingimenti in mare e ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive (articolo 4, IV Protocollo aggiuntivo CEDU)  e al diritto, per le vittime, di fare ricorso presso i tribunali italiani (articolo 13 CEDU).

 Strettamente legato alla sentenza della Corte di Strasburgo è la denuncia dell’UNHCR , la quale evidenzia che oltre 1.500 persone sono annegate o si sono disperse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e raggiungere l’Europa nel solo 2011. Questi dati sono i più elevati da quando, nel 2006, l’UNHCR ha cominciato ad elaborare queste statistiche. Il precedente primato risaliva al 2007, quando le vittime e i dispersi furono 630.

Sempre l’UNHCR afferma che lo scorso anno c’è stato  un record di arrivi i Europa attraverso il Mediterraneo: oltre 58.000. Il precedente picco era del 2008 ed era di 54.000 persone che raggiunsero Grecia, Italia e Malta dal Mediterraneo. E’ da evidenziare, in merito, che nel 2009 e 2010, c’è stato un importante controllo alle frontiere che aveva ridotto il numero di persone in arrivo in Europa. Ciò non si è verificato nel 2011, quando il Mediterraneo ha visto intensificarsi il traffico di imbarcazioni in seguito alle primavere arabe e alla caduta dei regimi in alcuni paesi nordafricani. Ciò lascia pensare che il numero reale di persone che possono aver perso la vita in mare potrebbe essere anche maggiore.