I posti dove si suona sono luoghi di aggregazione sociale e culturale. Ma sono in crisi per via dei dpcm e perché non sono riconosciuti nella loro peculiarità. L’appello di Arci Roma a Comune e Regione [Vito Scalisi]

La scorsa primavera, a Milano, è stata presentata la prima mappatura delle realtà culturali cittadine. C’è dentro tutto, anche i live club e gli spazi ibridi.

I live club sono posti dove si ascolta musica, si mangia e si beve. La somministrazione serve a finanziare la programmazione artistica e culturale perché quasi mai si paga un biglietto per sentire un concerto. I live club sono da sempre luoghi di sperimentazioni di linguaggi, tasselli di progetti di rigenerazione urbana, con professionalità e saperi.

Gli spazi ibridi sono luoghi di socialità, creatività, rigenerazione, di sperimentazione di pratiche collaborative intrecciate ad attività commerciali. Librerie che offrono anche servizi di coworking; bar che funzionano anche come portinerie di quartiere; negozi che mettono in relazione persone per rigenerare o valorizzare intere aree di quartiere, spazi in cui si frequentano corsi e si fruisce di mostre e si ascolta musica o si assiste a performance.

Le differenze sono sottili ma spesso sono circoli. Circoli Arci. Le differenze sono sottili, ripeto, ma è urgente una definizione, una normativa. Perché, ad esempio, non essendo teatri e nemmeno ristoranti, quegli spazi, e la gente che ci lavora, sono rimasti tagliati fuori dai ristori e chissà se l’ultimo dpcm sarà in grado di rispondere alle aspettative e alle richieste del terzo settore e della società civile organizzata.

La mappatura milanese, varata come ultimo atto della precedente consiliatura, serve sia al pubblico per orientarsi nell’offerta culturale e nella scoperta della città, serve agli operatori per favorire gli scambi, serve a chi governa per individuare i soggetti e costruire una regolamentazione adeguata nel riconoscimento della peculiarità dei live club come luoghi di aggregazione sociale e culturale.

Ora l’assessore milanese alla Cultura, Sacchi, ha annunciato che sta per prendere forma un albo dei live club, «che andrà individuato con parametri seri e predefiniti (attività continuativa di proposta artistica e culturale dal vivo, organizzazione di un numero minimo di serate live, eccetera) e in seguito disciplinato e tutelato con una normativa dedicata».

Ci sembra molto interessante – perché è quello che propone a Roma Capitale e alla Regione Lazio Arci Roma assieme a tutte le realtà che danno vita al cartello di Roma Culture Diffuse – la disponibilità di Palazzo Marino, il municipio milanese, alla realizzazione congiunta di eventi-test, alla revisione del regolamento relativo alla Commissione comunale di vigilanza, alla realizzazione di un’iniziativa che riconosca pienamente il valore culturale dei live club come parte integrante del sistema cittadino dello spettacolo dal vivo.

A Roma, invece, profit e no profit, il mondo dei live club e delle sale da ballo è colpito al cuore da un decreto che mette di nuovo in ginocchio — incomprensibilmente — il settore della musica dal vivo e delle sale da ballo, senza prevedere alcun ristoro e misure antichiusure. Eppure è uno dei settori culturali più produttivi di Roma e d’Italia, quello dei live club e dei locali di intrattenimento ma è bloccato da misure come il divieto di somministrazione durante i concerti — a fronte già dell’obbligo di costose mascherine FFP2 e del super green pass — e la proibizione di assistere in piedi agli spettacoli, nonostante tutti indossino la mascherina e abbiano certificato il ciclo vaccinale.

E’ utile ribadire che, nel caso specifico dell’associazionismo, la somministrazione, pur essendo attività complementare, è connessa inestricabilmente all’attività culturale per cui è incomprensibile e cieco applicare le disposizioni che valgono per grandi spazi come Palaexpo e Auditorium, anche a queste strutture come le nostre che vivono soprattutto di autofinanziamento e senza biglietterie. Su questo ci piacerebbe che si aprisse un dibattito nella società e a tutti i livelli istituzionali che coinvolga l’associazionismo e le organizzazioni di categoria.

Infatti, per porre argine alla morte dei club, Arci Roma ha lanciato un appello al Campidoglio e alla Regione Lazio, che già ha raccolto decine di adesioni, per chiedere di predisporre tempestivamente misure di sostegno alla ripartenza (blocco tari, sgravi osp, etc); di farsi portavoce delle istanze di questo comparto anche al livello regionale e in sede di conferenza Stato-Regioni (esiste anche la rete tra gli assessori alla cultura delle principali città d’arte che potrebbe svolgere un ruolo molto positivo a livello nazionale), e di aprire un tavolo che ponga al centro immediati interventi di tutela del settore della musica dal vivo, profit e non-profit — che in altre capitali, come Berlino, è stato riconosciuto al pari di istituzioni culturali e tutelato durante la pandemia per evitare le chiusure. L’appello è stato già sottoscritto da artisti, band e circoli anche alcuni che non fanno parte dell’Arci, segno che il tema è molto sentito in un campo già segnato moltissimo dall’incertezza collaterale alla pandemia.